L’illuminazione a gas nelle grandi città italiane nasce per iniziativa privata: gallerie di negozi, caffè e teatri vogliono cambiare volto alla notte e intrattenere le persone oltre il calar del sole, con una luce migliore delle lampade a olio. Una svolta che avviene negli anni di fermento risorgimentale, con protagonisti anche i grandi intellettuali dell’epoca.
I milanesi avevano iniziato a chiamarla “contrada de veder”, tanto veloce girava il passaparola in città per andare ad ammirare la nuova Galleria De Cristoforis in Corsia dei Servi a Milano (oggi corso Vittorio Emanuele). Era la novità del 1832, una galleria di negozi scintillante di specchi, costruita in meno di un anno su commissione dei tre fratelli De Cristoforis, famiglia di imprenditori e scrittori che frequentava i salotti di Alessandro Manzoni e di altri grandi intellettuali dell’allora regno Lombardo-Veneto. Volevano dare a Milano «un luogo coperto che servir dovesse di pubblico ridotto nei tempi piovosi e generalmente nelle lunghe sere d’inverno». Per questo, all’interno delle decine di negozi di moda, gioielli, librai, stampatori, caffè, parrucchieri, furono installate lampade a gas, tra le prime a comparire in città così numerose. I tanti cronisti invitati all’inaugurazione avevano paragonato questa galleria al Palazzo di Venere (oggi la galleria originale non esiste più).
Negli stessi anni, a Torino, il lionese Hippolyte Gautier e l’architetto di Grenoble François Reymondon volevano cambiare volto alla capitale del Regno di Sardegna con l’illuminazione a gas al posto di quella “a olio”, un’innovazione che già dalla seconda metà dell’Ottocento era in rapido sviluppo in Francia, Belgio e Gran Bretagna grazie ad alcuni scienziati e sperimentatori dell’industria. Nel 1832 i due francesi eseguirono il primo esperimento proprio in un caffè del centro di Torino, in piazza Vittorio, angolo via del Corso (attuale via Bonafous), nel caffè Gran Corso, immediatamente rinominato caffè del Gaz (poi caffè Biffo). Già nel 1823, in realtà, cinque fiamme a gas prodotto da oli e grassi avevano illuminato brevemente il caffè Gianotti in piazza d’armi (oggi piazza San Carlo). Forti del grande interesse suscitato, Gautier e Reymondon ottennero la concessione da re Carlo Alberto per istituire nel 1837 una “Società anonima per l’illuminazione a gas”, con capitali prevalentemente francesi e qualche azionista piemontese. La società, antenata dell’attuale Italgas, acquistò un appezzamento di terreno fuori Porta Nuova sul quale si costruirono la prima officina del gas e il primo gasometro della città.
Pochi anni più tardi, nel 1839, anche il consiglio comunale di Venezia concesse il primo appalto per l’illuminazione cittadina a una ditta francese. Milano sembrava leggermente più lenta nel muovere i primi passi verso l’abbandono progressivo dell’illuminazione a olio e solo nel 1845 vide la nascita della prima società per iniziativa dell’ingegner Achille Guillard di Parigi: il proposito era quello di sfruttare gas estratto dagli scisti bituminosi della Lombardia. La prima officina per il gas di Milano fu costruita su un vasto terreno nei pressi di Porta Lodovica, sulla direttrice sud della città. Lentamente i “lampedée” milanesi, ovvero gli addetti che accendevano e spegnevano i lampioni a olio sulle loro scale, impararono ad accudire quelli a gas.
Già nel 1818 Milano aveva visto il primo tentativo di illuminazione di un’abitazione privata, l’elegante Palazzo Porro-Lambertenghi, tutt’ora esistente, per opera del suo inquilino, il conte Luigi, uomo di vasta cultura umanistica e scientifica, nonché fervente patriota contro l’occupazione austriaca. Tra i suoi amici figurava il conte Federico Confalonieri, che ai soggiorni milanesi alternava parentesi a Londra, dove era venuto in contatto con i primi esperimenti sulla luce a gas. Fu proprio Confalonieri a far recapitare da Londra al conte Porro Lambertenghi una macchina per produrre gas dal carbone a scopo illuminazione: non è, inoltre, un caso che il precettore dei figli del conte, Silvio Pellico, sia stato il primo traduttore del fondamentale “Trattato pratico sopra il gas illuminante” del tecnico inglese Frederick William Accum, pubblicato a Milano nel 1817.
I fogli cittadini non mancarono di riportare la notizia del bel Palazzo Porro-Lambertenghi illuminato con l’apparecchio inglese, così come, pochi mesi dopo, ripresero con entusiasmo la notizia del piccolo teatro di via dell’Olmetto, del cavalier Giovanni Aldini, che illuminò proscenio, foyer e l’intera sala. Tutti esperimenti che portarono alla già citata Galleria De Cristoforis nel 1832. Fin dalla sua inaugurazione nel 1867 anche la Galleria Vittorio Emanuele, il salotto di Milano che unisce piazza del Duomo e piazza della Scala, poteva vantare luci a gas. Diventò un vero e proprio rito per milanesi e turisti assistere alla procedura di accensione automatica delle lampade a gas nella cupola tramite una piccola locomotiva chiamata “rattìn” (topolino, in milanese): correndo su un binario installato alla base della cupola, il “rattìn” accendeva le lampade a gas grazie a una fiammella accesa da un addetto.
A Torino, intanto, intorno al 1850 cominciò a maturare nel ceto benestante torinese il progetto della costituzione di una nuova società che si opponesse al regime monopolistico della compagnia di origine francese costituitasi per prima nel 1837. Nel 1851 nasceva quindi la “Società anonima piemontese per l’illuminazione a gas” con impianti costruiti nella zona di Borgo Dora. Problemi economici, di produzione e soprattutto di distribuzione indussero le due società a fondersi nel 1856 nella “Società Gas-Luce di Torino”.
Per combattere questa nuova situazione monopolistica si costituì nel 1862 la “Società anonima consumatori gas-luce di Torino” con officine nella parte est, la cosiddetta zona Vanchiglia. In seguito alla perdita del monopolio, nel 1863, la “Società Gas-luce di Torino” (che gestiva le officine di Porta Nuova e di Borgo Dora) dovette ricapitalizzarsi e cambiò il nome in “Società italiana per il gaz”, anche per la contemporanea acquisizione di altre officine gas italiane.
Anche Milano arrivò nel frattempo a contare quattro grandi officine (due a Porta Lodovica, una a Porta Nuova, una a Porta Venezia), ma dagli anni Ottanta del 1800 l’elettricità iniziò lentamente a soppiantare l’illuminazione a gas. In questi anni di grande incertezza per l’industria del gas, si iniziava, però, a profilare l’interesse per altri usi, come la cucina, il riscaldamento dell’acqua e degli ambienti.