Nel 1839 l’illuminazione pubblica a gas cambia volto alla Laguna: il consiglio comunale veneziano apre le porte all’innovazione, che sta già rivoluzionando le altre città europee e le abitudini di tutti i cittadini.
Lo sviluppo dell’illuminazione pubblica urbana accomuna tutte le grandi città, che hanno cercato da sempre di contrastare il buio per motivi di vivibilità e sicurezza nelle ore notturne. Prima con le candele, poi con le lampade a olio, infine con l’illuminazione a gas e poi quella elettrica: un percorso che va di pari passo con i cambiamenti nello stile di vita di cittadini e cittadine, che nel tempo modificano le proprie abitudini in accordo alle evoluzioni delle città in cui vivono. Venezia, in particolare, è sempre stata un luogo con caratteristiche uniche, con canali invece di strade. Basti pensare a quanto questo rendesse ancora più insicuro camminare nel buio nella Laguna, con il rischio di cadere in acqua o finire preda di malintenzionati.
Il 9 luglio 1839 il consiglio comunale veneziano concede l’appalto di illuminazione a gas della città di Venezia alla ditta “De Frigère, Cottin, Montgolfier, Bodin”. Questa società detta “Lionese” diventerà italiana nel 1924, passando alla torinese “Società italiana per il gas”, antesignana dell’attuale Italgas. Inoltre, nel 1841 si costituisce la “Società veneta industrie gas – SVIG”, che nel 1969 diventerà “Veneziana gas” e sarà successivamente assorbita in Italgas nel 1996. Per questi motivi il nostro archivio storico possiede diversi documenti relativi alla storia dell’illuminazione a gas di Venezia, tra cui disegni di palazzine delle diverse società e fotografie storiche con vedute dei gasometri e delle officine.
Dal buio al sistema di luci a olio nel 1730
Le prime notizie di provvedimenti per illuminare Venezia risalgono all’anno Mille. Strade e canali immersi nel buio più profondo ponevano grandi limitazioni alla vita cittadina, nonché rappresentavano un serio problema di sicurezza. In tutte le città, inoltre, le costruzioni principalmente in legno non erano adatte per l’accensione di fuochi e candele a fiamma libera, che hanno sempre rappresentato un grade rischio per gli incendi. Nel corso dei secoli i Dogi veneziani hanno quindi cercato soluzioni per bilanciare tutte le esigenze e portare contemporaneamente la luce nelle ore notturne.
Per diversi secoli i nobili, che non volevano portare da soli i lumi, si facevano accompagnare da un reggitore di lanterne nei propri percorsi notturni: il “còdega”, così era chiamata questa figura, era un mestiere umile diffusosi nel quindicesimo secolo, a seguito di una legge che obbligava chiunque a munirsi di una luce durante gli spostamenti notturni. Questo accompagnatore è diventato un personaggio mitico della storia veneziana, nonché l’origine del detto “fare da reggimoccolo”, ovvero da terzo incomodo.
Nel 1730, durante la Repubblica di Venezia, venne finalmente disposta l’illuminazione sistematica della città con fanali a olio. Infissi sui muri dei palazzi, ne furono installati 840 per arrivare a circa 2mila a inizio dell’Ottocento: si trattava di una prima vera e propria rete di illuminazione urbana, gestita con accensione manuale ogni giorno da parte dei cosiddetti “bolleghieri”, lampionai muniti di scale che giravano per la città.
1839: l’illuminazione pubblica a gas
Mentre le altre città europee, come Londra, Berlino e Parigi, a inizio Ottocento iniziarono seriamente a sperimentare le potenzialità del gas illuminante, il trattato che ha contribuito a diffondere la conoscenza di questa innovazione fu tradotto in italiano nel 1817: si tratta di “A Practical Treatise on Gas-Light” di Friedrich Accum, curato da Silvio Pellico nell’edizione italiana.
Come anticipato, il 9 luglio 1839 il consiglio comunale veneziano approvò il contratto di appalto alla ditta francese “De Frigère, Cottin, Montgolfier, Bodin”, detta “la Lionese”, per implementare questo nuovo sistema di illuminazione partendo dalle zone centrali (San Marco, Riva Schiavoni, Merceria, San Bartolomeo, Calle Larga).
La relazione sulla base della quale fu votata la delibera accennava al desiderio di non sentirsi da meno rispetto alle altre città, in particolare Milano, con la quale in quegli anni Venezia condivideva il controllo austriaco, in quanto parte del Regno Lombardo-Veneto:
“Venezia che in nulla sta al disotto delle altre principali città specialmente per quanto torna bello e cospicuo non può disinteressarsi della questione della illuminazione a gas che attualmente si sta agitando anche a Milano”.
La ditta Lionese costruì quindi la prima officina per la produzione del gas da carbon fossile a San Francesco della Vigna, un sito tutt’ora esistente a Venezia, e portò a termine il primo esperimento di accensione di piazza San Marco il 13 e 14 marzo 1843.
Spesso si pensa, erroneamente, che nel corso della storia le innovazioni tecnico-scientifiche abbiano sostituito quelle precedenti in modo repentino, mentre accade che queste convivano anche per lunghi periodi di tempo, prima che si affermi definitivamente la soluzione più avanzata. Ad esempio, fino al 1864 gran parte dei quartieri di Venezia rimase illuminata a olio, per questioni di contratti di appalto in scadenza e per motivi pratici, come la sostituzione di tutti i candelabri e lanterne cittadine con i nuovi lampioni.
Tra i tanti vantaggi offerti, il gas era una soluzione meno costosa dell’olio. Eppure, le cronache riportano episodi di proteste e resistenze, per l’odore che emanava e persino per la scarsa intensità luminosa, rispetto ai livelli che erano stati promessi dalle società del gas, o per il colore della luce (col tempo si trovarono soluzioni anche a questi difetti). Anche i metodi di accensione e spegnimento migliorarono negli anni: dall’operazione manuale svolta con lunghe pertiche per aprire e chiudere i rubinetti di fuoriuscita del gas, a inizio Novecento furono installati degli “orologi automatici a molla”, che all’ora concordata facevano scattare la leva di accensione o spegnimento della reticella. Una soluzione che, tuttavia, necessitava l’apertura costante del becco a gas, con sostanzialmente una piccola perdita continua.
Contemporaneamente allo sviluppo delle tecniche di illuminazione, inoltre, a Venezia furono installati lampioni e candelabri delle più belle fatture: manufatti in ghisa pressoché unici nel loro genere, con decorazioni raffinate. Oggi alcuni dei pezzi più belli si trovano ancora in città e presso il Museo Italiano della Ghisa, a Longiano, in provincia di Forlì-Cesena.
Fine Ottocento: l’avvento della luce elettrica
Il primo esperimento di illuminazione con l’elettricità si mise in pratica alla Giudecca nel 1886. Tre anni dopo, la neonata “Società anonima per l’illuminazione elettrica di Venezia” realizzò un impianto per una zona del centro piuttosto limitata. Come nel passaggio dall’olio al gas, anche in questo momento di evoluzione tecnica sono serviti diversi anni prima che l’elettricità riuscisse a spodestare completamente l’illuminazione a gas. Nel 1909, infatti, il Comune di Venezia rinnovò ancora il contratto con la “Lionese”, includendo nell’accordo la costruzione di una seconda officina del gas nella zona oggi nota come Santa Marta.
Lo scoppio della Prima guerra mondiale accelerò la transizione verso l’elettricità: poiché questa consentiva l’immediato spegnimento dei lampioni, era una soluzione più sicura in caso di incursioni aeree. Solo nel 1922 l’intera di città di Venezia arrivò a essere completamente illuminata con l’elettricità negli spazi pubblici. Dalla fine dell’Ottocento, quindi, il declino del gas illuminante in tutta Europa appariva inarrestabile: mentre l’elettricità diventava lo strumento principale per l’illuminazione, l’industria del gas lentamente spostava il proprio sviluppo verso gli usi per il riscaldamento e la cottura dei cibi.