Il diciannovesimo secolo è attraversato da innovazioni che, gradualmente, trasformano ogni aspetto della società. Il 1860, a Parigi, è un anno in cui l’accelerata in direzione del progresso è particolarmente netta. Il barone Georges Eugène Haussmann completa la sua opera di modernizzazione della capitale francese. La città si espande e i 20 arrondissement municipali, che tuttora la compongono, sono costituiti. In questo contesto, Hachette pubblica la terza edizione di L’alchimie et les alchimistes di Louis Figuier.
L’opera che pubblichiamo questo mese è un saggio storico e critico sulla filosofia ermetica, volto a raccontare luci e ombre dell’alchimia, madre della chimica. Del resto, lo stesso autore del volume, Louis Figuier, è un personaggio caratterizzato da luci ed ombre: un chiaroscuro a tratteggio fitto, più adatto a un artista romantico che a uno scienziato. Nato nel 1813 a Montpellier, si laurea in medicina nel 1841 e diventa professore di chimica presso la Scuola di Farmacia della sua città natale nel 1846, e successivamente in istituti equivalenti a Parigi.

Proveniente da una famiglia di farmacisti, cerca con determinazione il proprio spazio nel mondo scientifico. Ma è una disputa a marcarne il destino: quella contro Claude Bernard, fondatore della fisiologia moderna, su una questione chiave—la presenza di zucchero nel sangue prima del passaggio epatico. Figuier, in seguito ad analisi condotte su campioni animali, sostiene la presenza di zucchero già nella fase iniziale; Bernard la nega. A conti fatti, la scienza gli darà ragione. Ma non la comunità accademica.

Isolato dai laboratori e allontanato dall’insegnamento, Figuier si reinventa. Sceglie la divulgazione scientifica, aderendo a una corrente che in Francia va rafforzandosi con toni irriverenti e una vivace proliferazione di riviste. La sua Année scientifique et industrielle ne è esempio emblematico. Tra necrologi al vetriolo e articoli al limite della polemica, l’autore riversa la sua amarezza sugli scienziati celebrati: Claude Bernard non è risparmiato neppure post mortem; Alessandro Volta è criticato per aver contrastato Galvani; Augustus von Liebig è biasimato per aver tratto guadagno dal suo dado di carne. Figuier non tollera chi ha ottenuto il successo attraverso errori o opportunismi. Eppure, la sua penna infuocata parteggia per i dimenticati, i marginali, i misconosciuti—pur provenendo da una famiglia benestante, mentre Bernard nasce figlio di contadini.
Questo è il lato d’ombra dell’autore, che pure è stato capace di fondare un nuovo modo di fare divulgazione. Una voce acuta, brillante e, in molti casi, inascoltata. Nel 1860, con la pubblicazione di L’alchimie et les alchimistes, Figuier si libera dalle pastoie accademiche. Scrive con slancio di ciò che lo affascina: l’alchimia. I suoi protagonisti emergono dalle pagine come presenze vive, familiari, quasi fantasticate. Razionalista di formazione, resta però permeabile all’immaginazione, alla suggestione, all’ideale.

I protagonisti dell’alchimia: tra leggenda e realtà
La prefazione introduce due figure chiave: il rinascimentale Aurélius Augurelle, autore della Chrysopeia, e Faust—citato senza menzionare Goethe, forse per scelta deliberata, forse per un’allusione iniziatica, forse per evocare Georg Faust, scienziato-esoterista realmente esistito, o Michel Faustius, più avanti citato per la sua edizione curata dei testi di Filalete, studiati anche da Newton. Il testo si anima di ricette per la trasmutazione dei metalli e di nomi illustri: Paracelso, Flamel, Bacon, Agrippa, Elvezio… fino a Van Helmont, l’uomo che coniò il termine “gaz”, protagonista del nostro primo libro del mese.

Qui, però, non si parla di gas: Van Helmont racconta la sua esperienza con la pietra filosofale, che gli sarebbe stata donata nel 1618 da uno sconosciuto. Con essa, avrebbe trasformato il mercurio in oro. Nessuno riuscì a replicare il fenomeno, neanche con il celebre crogiuolo incantato. Figuier riporta il racconto senza contraddirlo apertamente. Del resto, afferma, l’interesse per la trasmutazione nasce “dall’osservazione dei primi fenomeni chimici”—come a ricordarci che molte scoperte nascono da intuizioni fortuite.
Accanto agli aneddoti, emergono riflessioni che oggi definiremmo “metropolitane”, tra cronaca, leggenda e suggestione. Il libro non ridicolizza l’alchimia, anzi: ne riconosce il ruolo nella storia della scienza, ponendola come matrice da cui sono nate molte conoscenze moderne. È un tributo appassionato a una disciplina negletta, che Figuier tratta con rispetto e meraviglia. Se Louis Figuier avesse trovato accoglienza nei circoli accademici, forse non ci avrebbe lasciato le sue numerose opere divulgative. E forse, molti piccoli scienziati non avrebbero avuto la loro occasione di comparire tra quelle pagine. Figura difficile da decifrare, contraddittoria, appassionata e polemica, Figuier sembra trovare pace solo quando scrive dei suoi alchimisti. Ed è lì che ci piace immaginarlo: assorto, con la mente accesa, tra i vapori di un laboratorio ideale che somiglia molto a un sogno.