LA NASCITA DELL’ACQUEDOTTO DI TORINO, STORIA DEL PRIMO ZAMPILLO

La costruzione dell’acquedotto cittadino, inaugurato nel 1859, è raccontata in alcuni acquarelli tecnici conservati nel nostro archivio: una svolta cruciale nella vita dei torinesi, avvenuta grazie all’intuizione della regina Maria Cristina di Borbone e al lavoro dell’ingegnere idraulico Ignazio Francesco Maria Michela.

Agli inizi dell’Ottocento, Torino si presentava come una città in pieno sviluppo, sia dal punto di vista urbanistico che demografico. Occupata dai francesi fino al 1814, quando il re Vittorio Emanuele I ritornò dalla Sardegna, dove si era rifugiato con tutta la corte, la città per volere di Napoleone aveva subito l’abbattimento della cinta fortificata e questo aveva dato il via all’espansione della capitale sabauda. In pochi anni si è passati da 65mila (1800) a 100mila abitanti (1830): da centro burocratico-amministrativo, Torino stava lentamente trasformandosi in un polo manifatturiero e di servizi. Nuovi quartieri, piazze e vie nascevano per agevolare il transito di merci e persone.

La rapida crescita della città, tuttavia, non ha risolto, anzi ha aggravato, i problemi sociali. Michele Buniva, medico di spicco torinese e professore di igiene pubblica, nel 1802 portò all’attenzione il legame tra malattie e povertà. In quegli anni la sporcizia diffusa in strade e piazze, insieme all’alto costo della vita e alla disoccupazione, contribuiva al deterioramento delle condizioni di vita della popolazione urbana. Le epidemie di tifo e febbre gialla, insieme alla carestia del 1816-1817, colpirono duramente anche altre città italiane, evidenziando la precarietà delle condizioni di vita dell’epoca. A circa cinquant’anni dall’Unità d’Italia, avvenuta nel 1861, la Penisola ancora soffriva di condizioni di arretratezza per quanto riguardava l’igiene e la salute pubblica.

Pianta della città di Torino incisa in acciaio da Angelo Biasioli, contenuta in “Descrizione di Torino” di Davide Bertolotti, Torino, 1840, Biblioteca Italgas.

Le città prima dell’acqua corrente

Fino alla metà del XIX secolo diverse città italiane non avevano ancora una capillare diffusione dell’acqua potabile. Torino, ad esempio, si riforniva d’acqua principalmente in due modi, a seconda dell’uso cui era destinata. Per le necessità domestiche e l’acqua potabile, le persone dovevano attingere da pozzi scavati nei cortili delle abitazioni, raggiungendo così la falda acquifera sottostante. L’acqua era trasportata nelle abitazioni tramite secchi e catini, poiché non esisteva una rete di distribuzione all’interno degli edifici.

Nei cortili, insieme ai pozzi d’acqua pulita, si trovavano anche i cosiddetti “pozzi neri”, dove venivano smaltite le acque reflue. Questa vicinanza tra fonti d’acqua pulita e pozzi neri creava una situazione igienica tutt’altro che salubre. Per la pulizia delle strade, la città si affidava a un sistema di canali che percorreva le vie cittadine. In questi canali scorreva un piccolo rigagnolo d’acqua ininterrottamente, mentre periodicamente veniva immessa una maggiore quantità d’acqua per un lavaggio più completo delle strade. In una città senza un sistema di approvvigionamento di acqua potabile pulita e una rete di distribuzione adeguata, la vita quotidiana era caratterizzata da sforzi e condizioni igieniche precarie, con il costante rischio di malattie ed epidemie.

Ritratto di Maria Cristina di Borbone.
Giacomo Berger, Public domain, via Wikimedia Commons

La prima idea di un acquedotto per Torino

Come si legge nella “Prima minuta della relazione sulla condotta dell’acqua potabile a Torino” a firma dell’ingegnere torinese Ignazio Francesco Maria Michela, nel 1832 la regina Maria Cristina di Borbone , vedova del re Carlo Felice di Savoia, stava valutando l’idea di fornire a Torino «acqua potabile di sorgente, sempre fresca, sempre pura, sempre abbondante», derivandola direttamente dalle Alpi o da luoghi elevati vicini. L’incarico di studiare questo progetto venne affidato all’ingegnere idraulico Michela, una figura di spicco nel panorama dell’ingegneria e dell’architettura torinese e italiana.

Nato il 5 marzo 1792 e scomparso il 15 marzo 1867 a Torino, l’ingegnere Michela è noto per aver progettato appunto il primo acquedotto di Torino e il primo ponte di ferro d’Italia, nel 1830, sul canale di Caluso (in provincia di Torino). Laureatosi all’Università di Torino in architettura civile nel 1810, intraprese una brillante carriera che lo portò a ricoprire diverse posizioni di prestigio. Ha lavorato come misuratore nel 1811 e come architetto idraulico nel 1813. Ha svolto incarichi di rilievo come ingegnere ispettore delle Reali Finanze ed era membro della Reale Accademia Albertina di Belle Arti e dell’Accademia d’agricoltura di Torino.

Le sue competenze nell’ingegneria idraulica e nella distribuzione delle acque potabili sono ampiamente riconosciute, come dimostrano le numerose pubblicazioni su queste tematiche. Come architetto, Michela ha lasciato un segno indelebile nel panorama urbano di Torino, progettando numerose abitazioni civili. L’Archivio Storico Italgas custodisce diversi album di disegni in acquerello di Michela, con progetti delle canalizzazioni e delle fontane per le piazze cittadine.

Rilievo del Sangone con ipotesi degli “allacci” alle acque del fiume. Ing. Michela, “Acquedotto dalla valle del Sangone a Torino”, 1847, Archivio Storico Italgas.

Gli studi preliminari e la scelta del torrente Sangone

La prima idea che Michela ha avuto per il suo acquedotto è stata quella di portare l’acqua a Torino dai vicini laghi di Avigliana e distribuirla attraverso fontane nelle principali piazze della città. In una successiva relazione del 12 aprile 1842, Michela ha esposto in modo più dettagliato il suo progetto, che prevedeva non solo di soddisfare le esigenze della popolazione, ma anche di fornire acqua per le industrie, le tintorie, i bagni, gli alberghi, i giardini, i lavatoi e gli abbeveratoi. Propose inoltre un sistema di fontane pubbliche divise in due categorie: quelle con doppio scopo di utilità e decorazione e quelle solo per uso della popolazione.

Progetto di un castello idraulico. Ing. Michela, “Acquedotto dalla valle del Sangone a Torino”, 1847, Archivio Storico Italgas.

Serviva una condotta per portare l’acqua pulita. Almeno 62 litri a testa, ogni giorno, calcolò Michela. Era la media delle grandi città europee, come Londra e Parigi. Ma da dove? I laghi vicini vennero infine scartati, troppo vicini alle torbiere. L’acqua del fiume Dora era anche troppo torbida. C’erano dei pozzi nelle località vicine, ma non avevano pressione sufficiente. Michela individuò allora il torrente Sangone: le sue sorgenti erano abbondanti e qualitativamente migliori.

Progetto di una botola per l’acquedotto derivante dalla Valle del Sangone. Ing. Michela, “Acquedotto dalla valle del Sangone a Torino”, 1847, Archivio Storico Italgas.

La regina Maria Cristina, informata nel frattempo che un gruppo di facoltosi cittadini intendeva costituirsi in società per rifornire Torino di acqua potabile, metteva a loro disposizione lo studio del Michela, offrendosi inoltre di concorrere finanziariamente alle spese, a condizione che l’acqua venisse fornita «gratuitamente e a perpetuità» a tutti gli istituti di beneficenza torinesi. Nel 1847 è stata quindi fondata la Società Promotrice per proseguire lo studio di Michela e portarlo alla fase di realizzazione.

Progetto di castello idraulico per Porta Susa.
Ing. Michela, “Acquedotto dalla valle del Sangone a Torino”, 1847, Archivio Storico Italgas.

Il 20 luglio 1852 venne costituita la Società Anonima per la Condotta di Acqua Potabile in Torino, con l’obiettivo di derivare acque potabili nella Valle del Sangone e distribuirle a Torino, sia nelle case che nelle piazze e nei luoghi pubblici. Il capitale sociale fu fissato a tre milioni di lire, suddiviso in seimila azioni da 500 lire ciascuna. La stampa riportò con enfasi l’importante evento, descrivendo la progettata conduttura d’acqua come una delle opere più desiderate e utili alla città.

Il 6 marzo 1859, a 27 anni dai primi studi dell’ingegner Michela, l’inaugurazione dell’acquedotto avvenne con l’attivazione di uno zampillo d’acqua in una vasca appositamente costruita al centro della piazza Carlo Felice. Mentre la regina Maria Cristina, morta nel 1849, non ha potuto assistere alla conclusione del progetto a cui aveva dato il via, l’arrivo del primo zampillo è stato accolto con entusiasmo dalla popolazione e dai media cittadini. Solo due anni dopo Torino divenne la prima capitale del neonato Regno d’Italia.

Progetto degli edifici di derivazione. Ing. Michela, “Acquedotto dalla valle del Sangone a Torino”, 1847, Archivio Storico Italgas.

La storia di Italgas e l’acqua

La storia di Italgas e l’acqua è iniziata nel 1941 con l’acquisizione della Società azionaria per la condotta di Acque Potabili (SAP), fondata nel 1852 a Torino, con l’obiettivo di distribuire l’acqua potabile nella città. Nel corso degli anni, SAP ha esteso la propria attività, costruendo acquedotti come quello della Favorita a Ciriè nel 1924 e partecipando alla fondazione dell’Acquedotto del Monferrato nel 1930. Nel 1941 il controllo di SAP passò a Italgas.

Nel 1960 l’acquedotto di Torino è stato municipalizzato, separandosi da SAP, che rimase sotto il controllo di Italgas. È iniziata in questo periodo la crescita di SAP a livello nazionale, che nel 1965 venne quotata alla Borsa Valori di Milano.

Negli anni successivi, Italgas ha ampliato la propria sfera di attività nel settore idrico, gestendo non solo la società Acque Potabili, ma anche partecipazioni indirette in acquedotti come quelli del Monferrato, di Savona e di Pallanza.

Nota. Come fonte primaria per l’elaborazione del testo è stata utilizzata la tesi di laurea di C. Pezzoli “Una città in crescita e il problema dell’acqua: Torino nella prima metà dell’ottocento”, custodita nell’Archivio Storico Italgas.